Fiammate di luce
Il voto espressione e rinuncia del libero arbitrio – mancato adempimento del voto – salita al cielo di Mercurio e incontro con le anime
Dopo le tre pomeridiane del 30 marzo (o 13 aprile)
“Non ti meravigliar s‘io ti fiammeggio di caldo amore come ‘n terra non si vede tanto da vincere la tua vista: vedo in modo perfetto, illuminata da Dio, ne l’intelletto tuo e so che cosa tu vuo’ saper: si può con altro servigio a Dio compensare un voto non adempiuto?” Sì Beatrice esordisce in questo canto e così continua: “Lo maggior don che Dio fece alle sue creature intelligenti fu la libertate de la volontà da cui deriva l’alto valor del voto, un patto dal contenuto gradito a Dio che comporta la rinuncia di quel tesoro che è appunto la propria libertà. Devi ancor sedere un poco alla mensa del sapere per capire che la dispensa dal voto che la Santa Chiesa concede non contraddice lo ver ch’io t’ho scoverto. Apri la mente a quel ch’io ti paleso e fissalo entro ben saldo ché non serve avere inteso senza ricordare: mai non si cancella il patto in sé. Con il consenso della Chiesa si può modificare solo la materia del voto e solo per un sacrificio più grande come il sei supera il quattro. Non prendan li mortali il voto a ciancia, non siano leggeri come penna a ogni vento i Cristiani a fare promesse a Dio. E non crediate ch’ogne acqua vi lavi. Avete il novo e ‘l vecchio testamento e la Chiesa che vi guida: uomini siate e non pecore matte”.
Così Beatrice parla a Dante che trascrive fedele le sue parole.
Poi la donna tutta disiante si rivolge al sole. Il suo tacere e il mutarsi del suo aspetto mettono in silenzio il cupido ingegno di Dante che già si pone in realtà nuove domande. Come una freccia che arriva al bersaglio pria che la corda dell’arco sia queta così Dante e Beatrice corrono nel secondo cielo. Quivi Dante vede la sua donna sì lieta che il cielo, fattosi più lucente, ride.
Come ‘n peschiera tranquilla e pura i pesci attratti da ciò che credono essere lor pastura salgono verso la superficie, sì Dante vede farsi loro avanti più di mille splendori che li accolgono dicendo: “Ecco chi accrescerà li nostri amori”. Il disio di Dante d’udir lor condizioni è grande. E tu, lettor? Proveresti certamente angoscia se il racconto non procedesse.
“O uomo pieno di grazia che puoi vedere il paradiso prima di morire, noi semo accesi dall’amore e se disii sapere di noi, saziati a piacere domandando ciò che vuoi”. Beatrice lo incoraggia a dire e a credere a quello spirto pio che ha ora parlato.
“Vedo che appartieni a questo cielo, che lampeggia non appena tu ridi, ma non so chi tu se’ e nemmeno perché tu sia nella sfera di Mercurio”. Questo dice Dante alla luce che ha parlato e che si fa ancora più lucente per più letizia tanto da sottrarsi alla vista dentro al suo raggio. E così chiusa chiusa gli risponde nel modo che ‘l seguente canto canta.
Testo del canto
«S'io ti fiammeggio nel caldo d'amore
di là dal modo che 'n terra si vede,
sì che del viso tuo vinco il valore,
non ti maravigliar; ché ciò procede
da perfetto veder, che, come apprende,
così nel bene appreso move il piede.
Io veggio ben sì come già resplende
ne l'intelletto tuo l'etterna luce,
che, vista, sola e sempre amore accende;
e s'altra cosa vostro amor seduce,
non è se non di quella alcun vestigio,
mal conosciuto, che quivi traluce.
Tu vuo' saper se con altro servigio,
per manco voto, si può render tanto
che l'anima sicuri di letigio».
Sì cominciò Beatrice questo canto;
e sì com'uom che suo parlar non spezza,
continuò così 'l processo santo:
«Lo maggior don che Dio per sua larghezza
fesse creando, e a la sua bontate
più conformato, e quel ch'e' più apprezza,
fu de la volontà la libertate;
di che le creature intelligenti,
e tutte e sole, fuoro e son dotate.
Or ti parrà, se tu quinci argomenti,
l'alto valor del voto, s'è sì fatto
che Dio consenta quando tu consenti;
ché, nel fermar tra Dio e l'uomo il patto,
vittima fassi di questo tesoro,
tal quale io dico; e fassi col suo atto.
Dunque che render puossi per ristoro?
Se credi bene usar quel c'hai offerto,
di maltolletto vuo' far buon lavoro.
Tu se' omai del maggior punto certo;
ma perché Santa Chiesa in ciò dispensa,
che par contra lo ver ch'i' t'ho scoverto,
convienti ancor sedere un poco a mensa,
però che 'l cibo rigido c'hai preso,
richiede ancora aiuto a tua dispensa.
Apri la mente a quel ch'io ti paleso
e fermalvi entro; ché non fa scienza,
sanza lo ritenere, avere inteso.
Due cose si convegnono a l'essenza
di questo sacrificio: l'una è quella
di che si fa; l'altr'è la convenenza.
Quest'ultima già mai non si cancella
se non servata; e intorno di lei
sì preciso di sopra si favella:
però necessitato fu a li Ebrei
pur l'offerere, ancor ch'alcuna offerta
sì permutasse, come saver dei.
L'altra, che per materia t'è aperta,
puote ben esser tal, che non si falla
se con altra materia si converta.
Ma non trasmuti carco a la sua spalla
per suo arbitrio alcun, sanza la volta
e de la chiave bianca e de la gialla;
e ogne permutanza credi stolta,
se la cosa dimessa in la sorpresa
come 'l quattro nel sei non è raccolta.
Però qualunque cosa tanto pesa
per suo valor che tragga ogne bilancia,
sodisfar non si può con altra spesa.
Non prendan li mortali il voto a ciancia;
siate fedeli, e a ciò far non bieci,
come Ieptè a la sua prima mancia;
cui più si convenia dicer 'Mal feci',
che, servando, far peggio; e così stolto
ritrovar puoi il gran duca de' Greci,
onde pianse Efigènia il suo bel volto,
e fé pianger di sé i folli e i savi
ch'udir parlar di così fatto cólto.
Siate, Cristiani, a muovervi più gravi:
non siate come penna ad ogne vento,
e non crediate ch'ogne acqua vi lavi.
Avete il novo e 'l vecchio Testamento,
e 'l pastor de la Chiesa che vi guida;
questo vi basti a vostro salvamento.
Se mala cupidigia altro vi grida,
uomini siate, e non pecore matte,
sì che 'l Giudeo di voi tra voi non rida!
Non fate com'agnel che lascia il latte
de la sua madre, e semplice e lascivo
seco medesmo a suo piacer combatte!».
Così Beatrice a me com'io scrivo;
poi si rivolse tutta disiante
a quella parte ove 'l mondo è più vivo.
Lo suo tacere e 'l trasmutar sembiante
puoser silenzio al mio cupido ingegno,
che già nuove questioni avea davante;
e sì come saetta che nel segno
percuote pria che sia la corda queta,
così corremmo nel secondo regno.
Quivi la donna mia vid'io sì lieta,
come nel lume di quel ciel si mise,
che più lucente se ne fé 'l pianeta.
E se la stella si cambiò e rise,
qual mi fec'io che pur da mia natura
trasmutabile son per tutte guise!
Come 'n peschiera ch'è tranquilla e pura
traggonsi i pesci a ciò che vien di fori
per modo che lo stimin lor pastura,
sì vid'io ben più di mille splendori
trarsi ver' noi, e in ciascun s'udìa:
«Ecco chi crescerà li nostri amori».
E sì come ciascuno a noi venìa,
vedeasi l'ombra piena di letizia
nel folgór chiaro che di lei uscia.
Pensa, lettor, se quel che qui s'inizia
non procedesse, come tu avresti
di più savere angosciosa carizia;
e per te vederai come da questi
m'era in disio d'udir lor condizioni,
sì come a li occhi mi fur manifesti.
«O bene nato a cui veder li troni
del triunfo etternal concede grazia
prima che la milizia s'abbandoni,
del lume che per tutto il ciel si spazia
noi semo accesi; e però, se disii
di noi chiarirti, a tuo piacer ti sazia».
Così da un di quelli spirti pii
detto mi fu; e da Beatrice: «Dì, dì
sicuramente, e credi come a dii».
«Io veggio ben sì come tu t'annidi
nel proprio lume, e che de li occhi il traggi,
perch'e' corusca sì come tu ridi;
ma non so chi tu se', né perché aggi,
anima degna, il grado de la spera
che si vela a' mortai con altrui raggi».
Questo diss'io diritto alla lumera
che pria m'avea parlato; ond'ella fessi
lucente più assai di quel ch'ell'era.
Sì come il sol che si cela elli stessi
per troppa luce, come 'l caldo ha róse
le temperanze d'i vapori spessi,
per più letizia sì mi si nascose
dentro al suo raggio la figura santa;
e così chiusa chiusa mi rispuose
nel modo che 'l seguente canto canta.
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