Argomento del canto
San Giovanni esamina Dante sull’Amore – Dante riacquista la vista – Adamo risolve quattro dubbi di Dante
Sera del 31 marzo (o 14 aprile).
Mentre Dante è disorientato per la cecità che lo ha colpito, lo spiro di san Giovanni esce dalla fulgida fiamma che gli ha spento la vista: lo invita a ragionare, pur al buio, su quale sia il fine a cui punta la sua anima e, togliendogli la paura, gli annuncia che Beatrice gli ridarà la vista. Dante risponde senza tentennamenti, fiducioso nel successivo intervento risanatore di Beatrice: gli occhi furono le porte da cui lei entrò in lui col foco di cui sempr’arde, quell’Amore che in Dio ha il suo sovrano bersaglio. San Giovanni incalza Dante: “Chi drizzò l’arco del tuo amore a tal berzaglio?” Certamente gli argomenti filosofici e l’autorità discesa dal cielo considerando che sempre ‘l bene, riconosciuto come tale, accende l’amore. Lo dimostra Dio quando parla a Moisè, ma anche lo stesso Giovanni.
Il santo vuole ancora sapere se Dante sente altre corde attirarlo a Dio: dica con quanti denti questo amore lo morde. A Dante è chiaro che cosa Giovanni, l’aguglia di Cristo, voglia condurlo a dichiarare e perciò afferma che è il creato a farlo innamorare: ama le fronde di cui s’infronda tutto l’orto dell’ortolano eterno, Dio che è Amore.
Non appena tace, un dolcissimo canto risuona per lo cielo. Beatrice si unisce alle altre anime con l’invocazione: “Santo, santo, santo!”. Come un uomo svegliato all’improvviso da un lume acuto non riconosce subito ciò che vede, così Beatrice, col raggio d’i suoi occhi, allontana ogni quisquilia da quelli di Dante che vedono ora meglio di prima rendendolo quasi stupefatto per la visione d’un quarto lume. È la sua donna che gli dice essere la prima anima creata da Dio, Adamo. Dante arde dal desiderio di parlargli: “O padre antico, tu vedi la mia voglia: non la dico per udirti più in fretta”.
Come un animal coverto rivela la sua agitazione dal movimento di ciò che lo copre, similmente Adamo fa trasparer dal movimento della sua luce la gioia di compiacere Dante. Così spira: “Sebbene tu non mi abbia espresso la tua voglia, la discerno meglio di quanto tu stesso capisca la cosa che t’è più certa perché la vedo in Dio. Tu vuoi sapere quando Dio mi puose ne l’eccelso giardino dell’Eden dove Beatrice ti predispuose a una così lunga ascesa, per quanto vi rimasi, quale fu il mio peccato e la lingua ch’usai e creai. Figliuol mio, la ragione dell’essilio dall’Eden non fu un peccato di gola, ma di superbia per aver passato il limite imposto. Sono rimasto nel limbo, da dove la tua donna mosse Virgilio, quattromilia trecento e due anni e in terra novecento trenta. La lingua ch’io parlai si estinse prima della costruzione della torre di Babele perché nessun prodotto della ragione dell’uomo è incorruttibile. Opera naturale è la facoltà di parlare, ma il come è scelta umana. Prima che io morissi Dio si chiamava in terra I e El si chiamò poi. Questo variare di forme è inevitabile come nel ramo una fronda ne sostituisce un’altra. Nell’Eden stetti, con vita prima pura e poi disonesta, poco più di sei ore”.
Canto integrale
Mentr'io dubbiava per lo viso spento,
de la fulgida fiamma che lo spense
uscì un spiro che mi fece attento,
dicendo: «Intanto che tu ti risense
de la vista che hai in me consunta,
ben è che ragionando la compense.
Comincia dunque; e di' ove s'appunta
l'anima tua, e fa' ragion che sia
la vista in te smarrita e non defunta:
perché la donna che per questa dia
region ti conduce, ha ne lo sguardo
la virtù ch'ebbe la man d'Anania».
Io dissi: «Al suo piacere e tosto e tardo
vegna remedio a li occhi, che fuor porte
quand'ella entrò col foco ond'io sempr'ardo.
Lo ben che fa contenta questa corte,
Alfa e O è di quanta scrittura
mi legge Amore o lievemente o forte».
Quella medesma voce che paura
tolta m'avea del sùbito abbarbaglio,
di ragionare ancor mi mise in cura;
e disse: «Certo a più angusto vaglio
ti conviene schiarar: dicer convienti
chi drizzò l'arco tuo a tal berzaglio».
E io: «Per filosofici argomenti
e per autorità che quinci scende
cotale amor convien che in me si 'mprenti:
ché 'l bene, in quanto ben, come s'intende,
così accende amore, e tanto maggio
quanto più di bontate in sé comprende.
Dunque a l'essenza ov'è tanto avvantaggio,
che ciascun ben che fuor di lei si trova
altro non è ch'un lume di suo raggio,
più che in altra convien che si mova
la mente, amando, di ciascun che cerne
il vero in che si fonda questa prova.
Tal vero a l'intelletto mio sterne
colui che mi dimostra il primo amore
di tutte le sustanze sempiterne.
Sternel la voce del verace autore,
che dice a Moisè, di sé parlando:
'Io ti farò vedere ogne valore'.
Sternilmi tu ancora, incominciando
l'alto preconio che grida l'arcano
di qui là giù sovra ogne altro bando».
E io udi': «Per intelletto umano
e per autoritadi a lui concorde
d'i tuoi amori a Dio guarda il sovrano.
Ma di' ancor se tu senti altre corde
tirarti verso lui, sì che tu suone
con quanti denti questo amor ti morde».
Non fu latente la santa intenzione
de l'aguglia di Cristo, anzi m'accorsi
dove volea menar mia professione.
Però ricominciai: «Tutti quei morsi
che posson far lo cor volgere a Dio,
a la mia caritate son concorsi:
ché l'essere del mondo e l'esser mio,
la morte ch'el sostenne perch'io viva,
e quel che spera ogne fedel com'io,
con la predetta conoscenza viva,
tratto m'hanno del mar de l'amor torto,
e del diritto m'han posto a la riva.
Le fronde onde s'infronda tutto l'orto
de l'ortolano etterno, am'io cotanto
quanto da lui a lor di bene è porto».
Sì com'io tacqui, un dolcissimo canto
risonò per lo cielo, e la mia donna
dicea con li altri: «Santo, santo, santo!».
E come a lume acuto si disonna
per lo spirto visivo che ricorre
a lo splendor che va di gonna in gonna,
e lo svegliato ciò che vede aborre,
sì nescia è la sùbita vigilia
fin che la stimativa non soccorre;
così de li occhi miei ogni quisquilia
fugò Beatrice col raggio d'i suoi,
che rifulgea da più di mille milia:
onde mei che dinanzi vidi poi;
e quasi stupefatto domandai
d'un quarto lume ch'io vidi tra noi.
E la mia donna: «Dentro da quei rai
vagheggia il suo fattor l'anima prima
che la prima virtù creasse mai».
Come la fronda che flette la cima
nel transito del vento, e poi si leva
per la propria virtù che la soblima,
fec'io in tanto in quant'ella diceva,
stupendo, e poi mi rifece sicuro
un disio di parlare ond'io ardeva.
E cominciai: «O pomo che maturo
solo prodotto fosti, o padre antico
a cui ciascuna sposa è figlia e nuro,
divoto quanto posso a te supplìco
perché mi parli: tu vedi mia voglia,
e per udirti tosto non la dico».
Talvolta un animal coverto broglia,
sì che l'affetto convien che si paia
per lo seguir che face a lui la 'nvoglia;
e similmente l'anima primaia
mi facea trasparer per la coverta
quant'ella a compiacermi venìa gaia.
Indi spirò: «Sanz'essermi proferta
da te, la voglia tua discerno meglio
che tu qualunque cosa t'è più certa;
perch'io la veggio nel verace speglio
che fa di sé pareglio a l'altre cose,
e nulla face lui di sé pareglio.
Tu vuogli udir quant'è che Dio mi puose
ne l'eccelso giardino, ove costei
a così lunga scala ti dispuose,
e quanto fu diletto a li occhi miei,
e la propria cagion del gran disdegno,
e l'idioma ch'usai e che fei.
Or, figluol mio, non il gustar del legno
fu per sé la cagion di tanto essilio,
ma solamente il trapassar del segno.
Quindi onde mosse tua donna Virgilio,
quattromilia trecento e due volumi
di sol desiderai questo concilio;
e vidi lui tornare a tutt'i lumi
de la sua strada novecento trenta
fiate, mentre ch'io in terra fu' mi.
La lingua ch'io parlai fu tutta spenta
innanzi che a l'ovra inconsummabile
fosse la gente di Nembròt attenta:
ché nullo effetto mai razionabile,
per lo piacere uman che rinovella
seguendo il cielo, sempre fu durabile.
Opera naturale è ch'uom favella;
ma così o così, natura lascia
poi fare a voi secondo che v'abbella.
Pria ch'i' scendessi a l'infernale ambascia,
I s'appellava in terra il sommo bene
onde vien la letizia che mi fascia;
e El si chiamò poi: e ciò convene,
ché l'uso d'i mortali è come fronda
in ramo, che sen va e altra vene.
Nel monte che si leva più da l'onda,
fu' io, con vita pura e disonesta,
da la prim'ora a quella che seconda,
come 'l sol muta quadra, l'ora sesta».
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