Argomento del canto
Secondo sogno di Dante – L’angelo della sollecitudine – Spiegazione del sogno – Gli avari – Papa Adriano V
Alba di martedì 29 marzo (o 12 aprile).
Ne l’ora in cui ‘l freddo de la luna si impone nella notte, poco prima de l’alba, Dante vede in sogno una femmina balbuziente, strabica e storpia, con le man monche e scialba di colore. Come il sole conforta le fredde membra che la notte intorpidisce così lo sguardo di Dante la trasforma, com’amor vuol, in una dolce serena che comincia a cantar seducente e appagante come quella che attrasse Ulisse. La sua bocca non è ancor richiusa quand’una donna santa e premurosa appare accanto a Dante per smascherarla. Fieramente incalza: “O Virgilio, o Virgilio, chi è questa?”. Lui si avvicina e, senza guardarla, prende la femmina ingannevole e l’apre lacerandole la veste e mostrando a Dante il suo ventre: il puzzo che ne esce sveglia il poeta.
“Almeno tre volte ti ho chiamato. Alzati e vieni: troviamo il passaggio” così Virgilio al suo risveglio. I giron del sacro monte del Purgatorio sono già illuminati dal giorno e Dante va pensieroso e curvo quando un’angelica voce soave e benigna li invita a salire. Con l’ali aperte che paiono di cigno, un angelo li fa passare tra due pareti di dura roccia e, muovendo le penne, ventila Dante sulla fronte ricordando che sono beati coloro che piangono.
Virgilio ha visto Dante con lo sguardo a terra e lo interroga: “Che hai?”. Il poeta confessa di non riuscire a staccarsi dalla visione del suo sogno che Virgilio interpreta: “Hai visto quell’antica strega incantatrice causa dei peccati che si scontano nelle tre cornici di sopra. Hai visto come ci si slega da lei. Guarda adesso in alto!” Bastano queste parole per spronare Dante a raggiungere il giro successivo, il quinto.
Qui vede gente giacere a terra tutta volta in giuso che, con alti sospiri, recita un salmo. Virgilio è sempre alla ricerca della strada per salire e un’anima tra questi eletti di Dio indica loro la direzione. Basta uno scambio di sguardi perché Dante ottenga dalla sua guida l’assenso a parlarle. Subito si fa sovra quella creatura per chiedere un attimo di sosta dal pianto che la purifica: “Chi fosti e perché avete le spalle al sù? Mi di’ se vuo’ qualcosa che possa chiedere sulla terra da dove mi mossi vivo”. L’anima risponde parlando latino: “Sappi che fui Papa”. Si presenta come appartenente alla famiglia dei conti di Lavagna, tra Siestri e Chiaveri, papa per un mese e poco più nel 1276 abbastanza per scoprire la vita bugiarda che non può appagare: in lui l’amore per la vita eterna s’accese quando indossò il gran manto e scoprì che il suo core non s’acquetava. Fino ad allora fu anima misera e partita da Dio, del tutto avara. Come l’occhio degli avari non seppe innalzarsi, fisso a le cose terrene, così la giustizia di Dio, fino a quando lo riterrà opportuno, a terra li costringe, legati ne’ piedi e ne le man.
Dante si è inginocchiato per parlare con questo papa, Adriano V, che lo redarguisce perché si è chinato come se lo voglia reverire: “Drizza le gambe, levati su, fratello! Siamo tutti servi di un’unica divina podestate. Vattene omai: non vo’ che più ti arresti: la tua sosta rallenta il mio percorso di salvazione. Ho in terra una nepote c’ha nome Alagia, buona di per sé, che spero la nostra famiglia non corrompa. Sola m’è rimasta perché possa pregare per me!”
Testo del canto
Ne l'ora che non può 'l calor diurno
intepidar più 'l freddo de la luna,
vinto da terra, e talor da Saturno
- quando i geomanti lor Maggior Fortuna
veggiono in orïente, innanzi a l'alba,
surger per via che poco le sta bruna -,
mi venne in sogno una femmina balba,
ne li occhi guercia, e sovra i piè distorta,
con le man monche, e di colore scialba.
Io la mirava; e come 'l sol conforta
le fredde membra che la notte aggrava,
così lo sguardo mio le facea scorta
la lingua, e poscia tutta la drizzava
in poco d'ora, e lo smarrito volto,
com' amor vuol, così le colorava.
Poi ch'ell' avea 'l parlar così disciolto,
cominciava a cantar sì, che con pena
da lei avrei mio intento rivolto.
«Io son», cantava, «io son dolce serena,
che' marinari in mezzo mar dismago;
tanto son di piacere a sentir piena!
Io volsi Ulisse del suo cammin vago
al canto mio; e qual meco s'ausa,
rado sen parte; sì tutto l'appago!».
Ancor non era sua bocca richiusa,
quand' una donna apparve santa e presta
lunghesso me per far colei confusa.
«O Virgilio, Virgilio, chi è questa?»,
fieramente dicea; ed el venìa
con li occhi fitti pur in quella onesta.
L'altra prendea, e dinanzi l'apria
fendendo i drappi, e mostravami 'l ventre;
quel mi svegliò col puzzo che n'uscia.
Io mossi li occhi, e 'l buon maestro: «Almen tre
voci t'ho messe!», dicea, «Surgi e vieni;
troviam l'aperta per la qual tu entre».
Sù mi levai, e tutti eran già pieni
de l'alto dì i giron del sacro monte,
e andavam col sol novo a le reni.
Seguendo lui, portava la mia fronte
come colui che l'ha di pensier carca,
che fa di sé un mezzo arco di ponte;
quand' io udi' «Venite; qui si varca»
parlare in modo soave e benigno,
qual non si sente in questa mortal marca.
Con l'ali aperte, che parean di cigno,
volseci in sù colui che sì parlonne
tra due pareti del duro macigno.
Mosse le penne poi e ventilonne,
'Qui lugent' affermando esser beati,
ch'avran di consolar l'anime donne.
«Che hai che pur inver' la terra guati?»,
la guida mia incominciò a dirmi,
poco amendue da l'angel sormontati.
E io: «Con tanta sospeccion fa irmi
novella visïon ch'a sé mi piega,
sì ch'io non posso dal pensar partirmi».
«Vedesti», disse, «quell'antica strega
che sola sovr' a noi omai si piagne;
vedesti come l'uom da lei si slega.
Bastiti, e batti a terra le calcagne;
li occhi rivolgi al logoro che gira
lo rege etterno con le rote magne».
Quale 'l falcon, che prima a' pié si mira,
indi si volge al grido e si protende
per lo disio del pasto che là il tira,
tal mi fec' io; e tal, quanto si fende
la roccia per dar via a chi va suso,
n'andai infin dove 'l cerchiar si prende.
Com'io nel quinto giro fui dischiuso,
vidi gente per esso che piangea,
giacendo a terra tutta volta in giuso.
'Adhaesit pavimento anima mea'
sentia dir lor con sì alti sospiri,
che la parola a pena s'intendea.
«O eletti di Dio, li cui soffriri
e giustizia e speranza fa men duri,
drizzate noi verso li alti saliri».
«Se voi venite dal giacer sicuri,
e volete trovar la via più tosto,
le vostre destre sien sempre di fori».
Così pregò 'l poeta, e sì risposto
poco dinanzi a noi ne fu; per ch'io
nel parlare avvisai l'altro nascosto,
e volsi li occhi a li occhi al segnor mio:
ond' elli m'assentì con lieto cenno
ciò che chiedea la vista del disio.
Poi ch'io potei di me fare a mio senno,
trassimi sovra quella creatura
le cui parole pria notar mi fenno,
dicendo: «Spirto in cui pianger matura
quel sanza 'l quale a Dio tornar non pòssi,
sosta un poco per me tua maggior cura.
Chi fosti e perché vòlti avete i dossi
al sù, mi dì, e se vuo' ch'io t'impetri
cosa di là ond' io vivendo mossi».
Ed elli a me: «Perché i nostri diretri
rivolga il cielo a sé, saprai; ma prima
scias quod ego fui successor Petri.
Intra Sïestri e Chiaveri s'adima
una fiumana bella, e del suo nome
lo titol del mio sangue fa sua cima.
Un mese è poco più prova' io come
pesa il gran manto a chi dal fango il guarda,
che piuma sembran tutte l'altre some.
La mia conversïone, omè!, fu tarda;
ma, come fatto fui roman pastore,
così scopersi la vita bugiarda.
Vidi che lì non s'acquetava il core,
né più salir potiesi in quella vita;
er che di questa in me s'accese amore.
Fino a quel punto misera e partita
da Dio anima fui, del tutto avara;
or, come vedi, qui ne son punita.
Quel ch'avarizia fa, qui si dichiara
in purgazion de l'anime converse;
e nulla pena il monte ha più amara.
Sì come l'occhio nostro non s'aderse
in alto, fisso a le cose terrene,
così giustizia qui a terra il merse.
Come avarizia spense a ciascun bene
lo nostro amore, onde operar perdési,
così giustizia qui stretti ne tene,
ne' piedi e ne le man legati e presi;
e quanto fia piacer del giusto Sire,
tanto staremo immobili e distesi».
Io m'era inginocchiato e volea dire;
ma com' io cominciai ed el s'accorse,
solo ascoltando, del mio reverire,
«Qual cagion», disse, «in giù così ti torse?».
E io a lui: «Per vostra dignitate
mia coscïenza dritto mi rimorse».
«Drizza le gambe, lèvati sù, frate!»,
rispuose; «non errar: conservo sono
teco e con li altri ad una podestate.
Se mai quel santo evangelico suono
che dice 'Neque nubent' intendesti,
ben puoi veder perch'io così ragiono.
Vattene omai: non vo' che più t'arresti;
ché la tua stanza mio pianger disagia,
col qual maturo ciò che tu dicesti.
Nepote ho io di là c'ha nome Alagia,
buona da sé, pur che la nostra casa
non faccia lei per essempro malvagia;
e questa sola di là m'è rimasa».
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